Dorothea Lange
American Exodus
Nel 1929 gli Stati Uniti d’America vengono travolti con una forza, pari ad un uragano, da una crisi finanziaria devastante e destinata a cambiare le vite di un immenso numero di cittadini. Non basta il crollo delle Borse a trascinare in uno stato di povertà la popolazione americana. Negli Stati Uniti centrali un violento vento di sabbia si innalza e trasforma, inesorabilmente, infinite distese agricole in deserti di sabbia.
Le Dust Bowls, violente tempeste di sabbia, costringono oltre mezzo milione di americani ad abbandonare le propria casa tra il 1931 e il 1939, dando il via ad un vero e proprio esodo del popolo americano. Gli sfollati partono in massa da Texas, Kansas e Oklhaoma e migrano ad ovest, verso la California, alla ricerca di un lavoro e di un futuro possibile. Dorothea Lange, pioniera della fotografia sociale, immortala le storie e i volti di uno dei più drammatici esodi della storia. Uno scenario apocalittico, un disastro ambientale e sociale che ha costellato di Ghost Town, oggi attrazioni turistiche, una vasta fascia del territorio americano. Dorothea partecipa in prima persona al dramma e con la sua macchina fotografica diffonde il racconto dell’esodo, creando delle fotografie icona e facendo dell’empatia la propria arma poetica. Osservando fotografie come The Migrant’s Mother, è impossibile non immedesimarsi nella preoccupazioni di una madre senza un futuro per sé stessa e per i propri figli. Così la fotografia di Dorothea Lange supera i confini di un’immagine definita, con uno spazio e un tempo determinati e ci porta a riflettere, universalmente, sulle preoccupazioni di tutti i disagiati costretti a vivere nelle periferie invisibili della terra, a provare empatia nei loro confronti. Le fotografie di lavoratori sfollati costretti ad affrontare pellegrinaggi di fortuna con le proprie famiglie, a bordo di macchine sovraccariche o spesso a piedi e a vivere in accampamenti di fortuna non solo sono testimonianze delle difficoltà della vita durante la Grande Depressione, ma diventano veri e propri commenti sociali, lasciando sempre trapelare rispetto e immedesimazione.
La vita
Dorothea Lange nasce da una famiglia di immigrati tedeschi nel 1895 a Hoboken, nel New Jersey. Si ammala all’età di 7 anni di poliomelite, malattia che la renderà zoppa per tutta la vita. Dorothea commenta la sua disgrazia affermando: “la miglior cosa mi sia capitata, mi ha formato, guidato, aiutato e umiliato”.
Il padre è un avvocato e divorzia dalla madre quando Dorothea ha 12 anni. Il trasferimento con la madre nel Lower East Side segna il suo passaggio da una vita agiata allo squallore di un quartiere afflitto da povertà, in cui diverse minoranze etniche condividono il medesimo sfortunato destino. Nonostante le difficoltà economiche della madre, che comincia a lavorare in una libreria, Dorothea cresce istruita e può accedere a libri d’arte e letteratura. Nel 1911 frequenta una scuola per diventare insegnante, ma è profondamente attratta dalla fotografia e, dopo aver lavorato in diversi studi fotografici, decide di iscriversi alla Columbia University. Ben presto diventa apprendista di diversi importanti fotografi, come Arnold Genthe, celebre ritrattista. Alla Columbia segue le lezioni di Clarence White, che le insegna che il valore di una fotografia non corrisponde al soggetto ma a come viene immortalato. Dorothea dedica gran parte della propria attività fotografica al ritratto, spinta dall’interesse verso le persone.
Nel 1918 parte con un’amica per un viaggio alla scoperta del mondo ma le giovani, giunte a San Francisco, vengono derubate di tutto e sono costrette a fermarsi in città. Dorothea trova lavoro in un emporio di stampa fotografica. Il suo talento le permette di incontrare la celebre fotografa Imogen Cunningham e di conquistare la stima di un mecenate, Jack Boumphrey, che finanzierà il suo primo studio fotografico. Dorothea fotografa su commissione la borghesia e le famiglie prestigiose della città.
Nel 1920 sposa il pittore di scenari western Maynard Dixon, con cui ha due figli.
Il rapporto con Imogen Cunningham influenza la fotografia di Dorothea, che comincia a seguire i principi puristi del gruppo F/64 e a concentrarsi su immagini di paesaggi e forme naturali. Durante una delle sua tante gite in montagna alla ricerca di paesaggi mozzafiato, Dorothea, sorpresa da una tempesta, capisce che la sua vera missione è quella di fotografare le persone. Nel 1929 decide dunque di partire per il New Mexico con Paul Strand, un fotografo di realtà quotidiane. Durante il viaggio assiste a povertà e miseria e capisce che la sua fotografia deve puntare i riflettori sulle condizioni delle persone disagiate. Dopo sette mesi di collaborazione con Strand torna a San Francisco e viene travolta dal crollo della Borsa. La sua famiglia perde tutto e la fotografa è costretta ad affidare i propri figli ad una scuola pubblica per il mantenimento. La povertà circola nelle strade e Dorothea la documenta, attraverso immagini dal pathos unico, come “La fila del Pane” del 1933, che ritrae un gruppo di uomini in attesa del loro turno per un tozzo di pane. Nella fila risalta la figura di un uomo, l’unico non di spalle alla fotocamera, che con le mani chiuse in preghiera e un’espressione corrucciata sul volto, lascia trapelare un’attesa tra speranza e disperazione. Il fotografo Willard Van Dyke rimane impressionato dalle sue fotografie sociali e decide di esporle nella propria galleria. Nella galleria di Van Dyke, Dorothea conosce il secondo marito Paul Taylor, docente di economia all’Università di Berkley, con il quale parte per la California per documentare l’esodo degli sfollati conseguito alle Dust Bowls. Nel 1939 pubblicano insieme il libro An Americans Exodus: A record of human Erosion, un’opera che intreccia le fotografia degli sfollati alle loro testimonianze.
Il libro le permette di ottenere un incarico presso la Farm Security Administration, un’agenzia federale coordinata da Roy Stryker per documentare le terribili condizioni dei contadini esodati. Alla campagna fotografica partecipano al suo fianco fotografi del calibro di Walker Evans, Ben Shan, Jack Delano e Russel Lee. Dorothea decide nel 1940, in seguito ad aspri contrasti con Roy Stryker, di licenziarsi. Gli Stati Uniti entrano in guerra contro il Giappone e Dorothea fotografa le ingiustizie subite dai cittadini americani di origine giapponese, internati nei campi di prigionia dopo la disfatta di Pearl Harbour. Tra la fine degli anni 50 e i primi anni 60 viaggia insieme al marito in Sud America, Asia, Nord Africa ed Europa. Continua a fotografare le persone nelle strade e a raccogliere annotazioni per il suo archivio fino al 1965, anno in cui viene stroncata da un cancro, pochi giorni prima della sua prima grande retrospettiva personale al Moma di New York.