Le Donne e la fotografia

Le protagoniste della fotografia dal primo dopoguerra ad oggi.

L’esposizione nasce come omaggio alla creatività femminile in campo fotografico e come riconoscimento del contributo innovativo che le donne artiste hanno dato alle evoluzione dell’arte fotografica, sia in termini tecnici che tematici.
 La storia dell’arte al femminile è strettamente connessa alla storia dell’emancipazione femminile. Relegata tradizionalmente al ruolo subordinato di moglie e di madre e alle funzioni della gestione domestica, la donna ha patito per millenni una tragica menomazione della propria personalità, impedita dal poter esprimere liberamente la propria creatività in ambito culturale ed artistico. Sino all’avvento del capitalismo, solo in rari casi, limitati alla cerchia della nobiltà, qualche donna riesce ad emergere nel mondo dell’arte, monopolizzato dal pensiero e dal potere maschile. Verso la fine del ‘700, quando la manifattura e poi le fabbriche cominciano a richiedere eserciti di manodopera a basso costo (inclusi donne e bambini), la donna inizia a costruirsi una nuova identità, a determinarsi come donna moderna.

Marina Abramovic, Senza Titolo dalla serie Gold found by the artists, dittico di Polaroid a colori, 1981

Durante la prima guerra mondiale, infatti, con la quasi totalità degli uomini validi al fronte, le donne assumono efficacemente ruoli e funzioni tradizionalmente maschili. Nell’immediato dopoguerra i movimenti di emancipazione femminile pretendono dunque di conseguire importanti traguardi civili, come l’ammissione al voto politico (in Inghilterra nel 1918, in Germania nel 1919, negli Stati Uniti nel 1920).
 Nel frattempo, nella pratica artistica si erano succeduti studi e movimenti che avevano configurato una diversa sensibilità umana rispondente al vorticoso affermarsi dell’industria meccanizzata e dell’urbanesimo: Verismo, Impressionismo, Simbolismo, e poi ancora Cubismo, Futurismo, l’astrattismo lirico e geometrico.


Leni Riefensthal, Deutsche Turnerinnen, da Olimpya, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1936

Margaret Bourke-White Political rally in small german town, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1938

Le donne, che si affacciano solo allora abbastanza numerose alle attività professionali ed artistiche, ereditano ed assimilano una cultura prodotta dai maschi, e tuttavia imprescindibile: impossibile ignorarla, partire da un grado zero del pensiero, di idee e tecniche. E, così, è proprio dentro alla stratificazione culturale di una civiltà tutta al maschile che le donne artiste cominciano a scavare per trovare in essa motivi di critica e di contestazione, sino alla affermazione di una diversa sensibilità, di un diverso modo, femminile, di concepire e di vivere il mondo.
 La produzione artistica femminile si distingue da quella maschile per una specificità determinata da una sensibilità distinta per ragioni di natura, di cultura, di ruolo societario. Da un lato la donna è influenzata dal proprio ruolo di madre, che la rende empatica e sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano nel mondo, sentiti come missione, donazione ai limiti del sacrificio, amore e cura della specie. Il secondo tema trainante della fotografia al femminile è quello dell’identità in ambito societario, sentita come compressa/inespressa.

Claude Cahun, Theatre de recherches dramatiques, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1929

Nel ‘900, grazie anche ad una maggiore maneggevolezza delle attrezzature fotografiche, sempre più numerose sono le donne che utilizzano la fotografia come mezzo espressivo: emerge nella produzione fotografica a livello internazionale la poetica femminile dell’empatia, fotografie che si distinguono per uno particolare sguardo amorevole nei confronti dell’umanità. I temi sono gli stessi della fotografia documentaria e sociale ma l’occhio femminile che vede e seleziona il soggetto è vellutato, commosso, ed il soggetto emerge dall’immagine come avviluppato da un pathos particolare frutto di una pietas che sembra comprendere, proteggere, amare. Bambini, famiglie, amici, costituiscono uno dei soggetti più frequentati della fotografia femminile dell’empatia; tema frequente in Dorothea Lange, Lisette Model, Denise Bellon, Germaine Krull, Gerda Taro, Eva Besnyo , e, nel secondo dopoguerra, in Diane Arbus, Lisetta Carmi, Ingeborg Lüscher, Jitka Hanzlova, Zofia Rydet, Alla Esipovich. Empatia umana che si ritrova anche nelle immagini di violenza, di guerra, di emigrazione, di paura, come in Letizia Battaglia, Christine Spengler, Françoise Demulder, Regina José Galindo, Yto Barrada, Magdalena Jetelová, o nelle distopie di Sandy Skoglund. Un più universale ed onnicomprensivo sentimento di empatia è invece quello che alimenta la creatività di artiste come Tina Modotti, Anne Biermann, Gina Pane, Barbara Leisgen, Jenny Holzer, Roni Horn, Catherine Opie, Paola De Pietri. Attraverso il loro sguardo il paesaggio si trasforma in territorio, nello spazio aperto ed amico di una umanità finalmente liberata da costrizioni, confini, conflitti. 

 

Lisette Model, Sammy’s Bar at the Bowery, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1940 ca.

Diane Arbus, Family Beauty Contest at a Nudist Camp, stampa alla gelatina ai sali d’argento, anni 60

Il secondo tema dominante della fotografia al femminile riguarda il tema dell’identità della donna nel contesto societario. Il percorso di emancipazione della donna non poteva che partire dalla denuncia dello stato di subordinazione al quale era costretta, per poi cercare in sé, e talvolta nel collettivo femminista, gli elementi compressi/carenti di una diversa soggettività, della identificazione/costruzione di una persona piena nel mondo. 

stern

Grete Stern, Sirena de agua dulce dalla serie Los Suenos, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1950 ca

Manassè

Manassè Studio, Mein Zukerl, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1926

Alcune artiste fotografe ci introducono in questo processo a volte esaltante, altre volte doloroso, di ricerca della propria identità concreta ed immanente, tra gli ostacoli frapposti a tale ricerca da leggi, abitudini e principi morali propri di una civiltà al maschile, ancora più difficili da scalfire ora, quando organizzati in un sistema economico e sociale di tipo capitalistico, nel quale i soli valori riconosciuti sono quelli del denaro e delle merci. A dimostrazione della maturità del pensiero che sostiene l’opera di queste artiste, nelle loro fotografie il tema identitario è sempre coniugato con la individuazione dei gradi di libertà negati/possibili in ambito societario. Che si tratti di una sofferta introspezione ai limiti del sogno o della follia, come nelle foto di Grete Sterne, Francesca Woodman, Ketty La Rocca, Katharina Sieverding, Sophie Calle, Nan Goldin, Maria Michałowska, Teresa Tyszkiewicz; o del rapporto uomo-donna nei suoi risvolti sessuali e di potere, come in Olga Spolarics (Atelier Manassé), VALIE EXPORT, Marina Abramovic, Verita Monselles, Odinea Pamici, Jane Dunning, Renate Bertlmann, Natalia LL, o, infine, nella denuncia dei ruoli minoritari e stereotipati, o di comportamenti “alla moda”, a cui la donna viene costretta da leggi maschiliste e dal mercato, come in Cindy Sherman, Gretta Sarfaty, Georgina Starr, Vanessa Beecroft, Annelies Strba; le loro immagini colpiscono l’osservatore per un radicale rifiuto della figura tradizionale di donna e per un elevato tasso di provocazione; ma anche per una toccante aspirazione ad una condizione di piena realizzazione della persona; lato quest’ultimo della loro arte che in qualche modo chiude il cerchio della poetica al femminile, e che ci fa concludere come empatia e ricerca di una nuova felice identità di genere siano, in realtà, le due facce della stessa medaglia. 

Cindy Sherman, Untitled # 386 (The Son) From The Series “Murder Mystery”, stampa alla gelatina ai sali d’argento, 1976 (ristampa del 2000)

Francesca Woodman, Senza Titolo, stampa successiva alla gelatina ai sali d’argento 1977-78

Fondazione Luciana Matalon

Foro Buonaparte 67, Milano

08 ottobre 2021 – 28 novembre 2021